Intervista a Riccardo Viaggi, segretario generale di CECE



(descrizione) È passato ormai qualche mese dalle elezioni europee, ma la definizione dei successivi equilibri ha richiesto qualche tempo, come spesso accade quando ci sono di mezzo le istituzioni comunitarie. Alla fine dell’estate, e con l’autunno alle porte, ancora non tutto è chiaro ma è già possibile dare qualche giudizio, e spingersi in previsioni sui cinque anni che verranno, in particolare per il settore delle costruzioni. Di questo abbiamo parlato con Riccardo Viaggi, segretario generale di CECE, in foto, (Committee for European Construction Equipment) e gran conoscitore delle cose di Bruxelles.

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Parliamo delle elezioni europee che si sono svolte pochi mesi fa: sono state seguite da lunghe e convulse contrattazioni, ma alla fine gli equilibri che sono emersi sono molto simili a quelli che c’erano già. Con quali conseguenze per il vostro settore?
«La commissione Von Der Leyen 2 sembra essere effettivamente come la Von Der Leyen 1, a partire dalla volontà di insistere sul Green Deal e sulle tematiche della sostenibilità e della decarbonizzazione. Su questo, da un punto di vista più politico, mi sembra chiaro che vi sia una piccola sconfitta della parte più tendente a destra a livello europeo, soprattutto in altri Paesi quali Germania, Francia e Spagna che volevano forse un rilassamento di quelle norme, e una sconfitta invece più evidente del Governo italiano, lo dico da italiano ma anche da osservatore neutrale della politica di Bruxelles. C’è consenso nel ritenere che la decisione del nostro Governo di non sostenere e quindi non poter influenzare la nuova commissione ha lasciato campo aperto a Socialisti e Verdi, con questi ultimi che pur non entrando in maggioranza hanno votato a favore, proprio per tenere la barra dritta sul Green Deal. La commissaria che, molto probabilmente, se ne dovrà occupare è una socialista spagnola che sarà dotata di un super portafoglio, e ha già detto che quanto proposto negli ultimi cinque anni è troppo timido per le sfide del cambiamento climatico: alcuni settori industriali considerati più intensivi, come ad esempio quello chimico, speravano in un rilassamento dei vincoli, desiderio espresso nella dichiarazione di Anversa, e sicuramente non li otterranno.
Noi come CECE non l’abbiamo firmata e non vediamo necessariamente l’allentamento del Green Deal come obiettivo politico, e quello che Von Der Leyen ha definito addirittura Clean Industry Deal può sembrare ad alcuni la stessa cosa detta con parole diverse quando magari si aspettavano un ripensamento delle tempistiche più difficile da rispettare e di alcune delle norme più limitanti. Vale l’esempio dell’auto, con la scadenza che l’Europa si è data al 2035 per le nuove immatricolazioni salvo poi dire subito dopo che forse è troppo ambiziosa
».

Come dicevamo, in campagna elettorale però si erano spese parole di segno diverso, pensando a risultati diversi da quelli che sono poi effettivamente arrivati.
«Sicuramente è stata una vittoria per i sostenitori del Green Deal, la Von Der Leyen lo è sempre stata e quindi non sta dicendo nulla che non avesse già detto in passato. La situazione in Germania, con un Governo uscito molto indebolito dagli ultimi turni elettorali, non consentiva di proporre qualcuno di diverso da lei: meglio riconfermarla e continuare a farle dare le carte, che un ipotetico commissario di sinistra che però non conta niente.
Questo ovviamente influenza le decisioni politiche, di cui Von Der Leyen ha già fatto qualche anticipazione, in un discorso di inizio mandato che a me personalmente è sembrato poco più di una lista della spesa con dentro tutto e il suo contrario. E questo fa sì che sia difficile fare vere e proprie previsioni su quella che potrebbe essere la roadmap legislativa, in particolare nel settore delle costruzioni, anche se ci sono aspetti che ci fanno ben sperare. Il primo è quello che riguarda la competitività dell’industria europea, questione che è al centro del rapporto che proprio lei ha chiesto di redigere a Mario Draghi (presentato a Bruxelles proprio nei giorni in cui questa intervista è stata scritta, ndr), e che potrebbe essere molto utile.
A partire dallo stesso green Deal, e a quella che potrebbe delinearsi come la necessità di mitigare alcune sue parti alla luce della perdita di competitività che comportano nei confronti di Cina e Stati Uniti. Non sappiamo come il rapporto prenderà in considerazione il settore delle costruzioni, ma anche solo l’idea di pensare a un portafoglio dedicato al tema dell’abitare ci sembra promettente. Le politiche abitative non sono esclusiva dell’Europa, ma riguardano anche i singoli Stati, coinvolgono i tassi di interesse, i mutui, ed è ovvio che diventino parte del discorso quando si parla di debito comune e di investimenti. Sapere che questo è un tema così importante da far parte del discorso programmatico ci fa ben sperare, perché sappiamo che il grande malato del settore costruzioni è proprio l’edilizia residenziale. Per un settore come il nostro, che vive anche di comande pubbliche, di bandi e può essere ancora finanziato da debito comune come avvenuto con il piano post pandemico, se il rapporto contenesse indicazioni di questo tipo sarebbero molto positive. Gli equilibri politici sono però difficili, ci sono Paesi in cui una destra sovranista non permetterebbe la creazione di nuovo debito comune, e altri storicamente molto attenti a equilibri finanziari e fiscali, anche se di altro colore politico come in Germania, in cui l’orientamento sarebbe simile
».

Quali sono in questo momento sono i dossier aperti più importanti a livello europeo?
«Ce ne sono tanti, per noi fabbricanti di macchine ad esempio è importante quello sulla messa al bando dei Pfas, sostanze chimiche che noi non produciamo ma utilizziamo in modo importante sulle nostre macchine per funzioni di raffreddamento, raffrescamento, riscaldamento, isolamento e nella componentistica elettrica: bisogna trovare il modo, come dicevo, di conciliare le esigenze di sostenibilità con quelle di competitività, e su questo non ci è ancora possibile dare una lettura di ciò che avverrà alla luce del risultato elettorale.
La decarbonizzazione delle nostre macchine non è un tema al momento all’ordine del giorno, ci sono Paesi che vorrebbero discuterne ma la Commissione non ce l’ha nel radar, quindi non vediamo grossi cambiamenti all’orizzonte nell’agenda legislativa. Quel che sarà interessante è vedere all’opera i nuovi eurodeputati, come associazioni industriali presenti a Bruxelles stiamo facendo le nostre valutazioni su quali sono i nuovi stakeholder più importanti: da italiano, credo che sia interessante seguire Antonio Decaro, che prenderà la presidenza della commissione ambiente al parlamento europeo, una delle più importanti specialmente negli ultimi cinque anni. Vedremo cosa farà.
In ogni caso, dal punto di vista della nostra bolla molto sembra dipendere dal rapporto Draghi. A leggere quello che viene riportato qui pare che Von Der Leyen voglia proprio usarlo per farne la sua roadmap, usando alcuni passaggi e raccomandazioni molto concrete per redigere le lettere d’incarico che verranno date ai 26 commissari: noi già sappiamo qual è il livello di concretezza che Draghi può fornire, conosciamo la sua inclinazione politica generale, oltre che quella strategica, sappiamo quindi che per lui l’utilizzo dei sussidi non è un tabù, come invece è in molte capitali europee. Che così come Cina e Stati Uniti finanziano le loro industrie l’Europa non deve decidere di non farlo per motivi ideologici, questo ci lascia speranzosi in un cambio di passo: non perché debbano essere finanziate a pioggia industrie che competitive non lo sono, ma per difendere una competitività europea che c’è e magari conquistarne di nuova, anche a discapito di partner commerciali che non sempre giocano alle nostre stesse regole del gioco
».

A questo proposito, visto che mentre parliamo c’è anche in corso la campagna presidenziale americana, l’analisi dei risultati economici degli ultimi quattro anni mostra risultati interessanti, e in particolare un investimento in infrastrutture che lì non si vedeva dagli anni Sessanta.
«La mia lettura è simile e credo che lo sia, in modo più raffinato, anche quella di Draghi: mentre la Cina lo fa da decenni, e l’America solo da tempi più recenti, noi siamo stati a guardare e abbiamo fatto certe piccole cose solo perché erano estremamente necessarie dopo il disastro pandemico, acuito ancora di più dalla guerra in Ucraina.
Solo arrivati a quel punto ci siamo detti che forse era meglio tirar fuori qualche centinaio di miliardi e non per rimettere il treno in grande marcia, ma per raccogliere i cocci. Senza considerare che, guardando alle cifre che riguardano Paesi come Italia e Spagna, l’impatto vero e proprio di quegli investimenti è ancora da vedere. Forse questo vale anche per gli Stati Uniti, ma se mettiamo insieme il piano infrastrutturale che abbiamo citato, gli aiuti individuali post Covid, l’Inflation Reduction Act che sta fornendo risorse sia per investimenti vecchi che per altri nuovi, il risultato è che i nostri colleghi oltre oceano costruttori di macchine per edilizia e agricoltura sono in un momento di ciclo economico completamente diverso dal nostro, di continua e grande espansione. Noi non ci lamentiamo, il 2023 è andato bene, ma il 2024 è iniziato male e sta continuando peggio, mentre negli Usa accade l’esatto contrario. Per questo speriamo che il rapporto di cui parliamo, anche se non verrà seguito in tutto, almeno dia una scossa
».

A proposito di pandemia, l’ultima volta ci eravamo sentiti un paio di anni fa, in una fase contingente del tutto diversa, e avevamo parlato di serissime preoccupazioni riguardo le materie prime critiche e le scelte politiche europee che le riguardano.
«Credo che da allora l’Europa finalmente si sia svegliata. Abbiamo accolto con grande interesse l’entrata in vigore del Critical Raw Materials Act, la prima vera e propri strategia legislativa e di mercato riguardante l’approvvigionamento di queste risorse strategiche. Questo nuovo interesse dell’Europa ci ha portato a lanciare CECE Mining, una nuova branca della nostra attività dedicata in modo specifico al settore minerario, laddove fino a poco tempo fa noi ci eravamo limitati a rappresentare i fabbricanti di macchine da cantiere, al massimo da cava, ma di fatto quasi tutti i marchi che già rappresentiamo sono gli stessi che realizzano anche i macchinari da miniera.
Il giudizio di questi ultimi due anni è molto positivo, e il primo anno dall’applicazione del provvedimento, ritengo che la Commissione stia facendo tutto nel modo giusto.
Come in altri ambiti, se gli Stati membri seguono le direttive, riaprendo miniere esistenti o aprendone di nuove quando tutte le condizioni sono state rispettate, concedendo più rapidamente i permessi, sono tutte buone notizie per la competitività del comparto. Per quanto riguarda l’identificazione su scelta politica dei settori più strategici, quell’impostazione continua a essere valida, perché ha a che fare soprattutto con l’elettrificazione dell’economia - che però nel nostro settore non è l’unica soluzione, continuiamo a dirlo -, non c’è e non ci sarà da questo punto di vista nessuna marcia indietro. Vediamo che si continuano a finanziare alcuni progetti definiti di interesse europeo, ne prendiamo atto e forse alcuni potranno essere interessanti anche per noi, ad esempio per il settore mobilità nel senso molto esteso del termine perché noi ovviamente non ne facciamo parte. Ma se l’Europa si dota di grandi capacità nella produzione di batterie su larga scala, forse dopo aver risolto tutti i problemi riguardanti la mobilità qualche cosa sarà interessante anche per noi
».

Definita la nuova-vecchia maggioranza nelle prossime settimane avverranno le nomine dei commissari, oltre a chi abbiamo già citato quali sono le vostre aspettative?
«Citerei la probabile riconferma di Thierry Breton come commissario all’industria: se devo trovare un motivo di scarso ottimismo è questo. Senza volergli dare tutte le colpe, perché ovviamente l’agenda degli scorsi cinque anni è stata influenzata prima dal Covid e poi dalla guerra, ma praticamente si è occupato solo di quello, ovvero di industria farmaceutica e di difesa. Insieme ad altri commissari ha lavorato su batterie e idrogeno, ma sicuramente non si è mai occupato di industrie più tradizionali, ha finto di interessarsi del settore costruzioni ma non l’ha mai fatto per davvero, tanto meno al manifatturiero pesante, quello nostro, delle macchine complesse. Non ha mai voluto incontrarci, e in tanti processi legislativi di sua competenza non ha voluto tenere conto dell’impatto sui nostri settori. La sua conferma non è per noi una buona notizia.
Macron per via di questioni interne non vuole aprire una discussione in Francia su chi potrebbe essere commissario al suo posto, e Von Der Leyen non ha altri portafogli da offrire. Il suo disinteresse per settori più tradizionali, anche se mi fa specie definirci così, diciamo meno sulla bocca di tutti, visto che non siamo fondamentali in una crisi pandemica o in una guerra, per un Commissario europeo all’industria credo sia un grande errore. A proposito di spesa militare, visto quanto se ne è discusso, la difesa è la meno europea di tutte le competenze, anche solo ipotizzare un Commissario europeo alla difesa è solo fumo negli occhi, al limite può portare a un po’ di coordinamento tra stati, ma il coordinamento non è politica europea. E infatti non c’è nessun Paese europeo che voglia ricoprire quel ruolo
».

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